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BREVE VIAGGIO NEL TEMPO DELL’ESSERE DONNA
IN PRINCIPIO C'ERA LA DEA

di Micaela Balice

"In principio" la vita nella sua interezza scaturiva dal ventre femminile: così testimoniano i ritrovamenti nei siti archeologici più antichi (Paleolitico e Neolitico); donne con forme tonde, coi seni esuberanti e grosse natiche, con simboli quali la spirale, che riportavano metaforicamente al mondo uterino.
L'uomo antico non poteva far altro che prendere atto che la vita si perpetuava attraverso la donna e solo attraverso essa.

Benchè alcuni studiosi sostengano che l'uomo primitivo non era in grado di correlare il contributo maschile alla procreazione con la gravidanza, e che fosse questo il motivo di tanta divinizzazione della donna, relegando i ritrovamenti di statuette con fattezze esageratamente femminili ad un “uso erotico” del maschio; altri osservano che l'uomo primitivo doveva avere per forza maggiore consapevolezza della vita e dei meccanismi biologici, sebbene fosse una consapevolezza diversa da quella che possiamo avere noi oggi. Viveva a stretto contatto con la natura; la vita e la morte erano quotidianamente sotto i suoi occhi. Di questo parere è anche Marjia Gimbutas, archeologa lituana nota per i suoi studi scientifici sul culto della Grande Madre, secondo la quale il ruolo paterno nel processo di riproduzione era compreso dalle popolazioni del Neolitico, dato che gli uomini di quell’epoca erano acuti osservatori della natura.

Una riflessione può aiutare a comprendere l’importanza della donna nella generazione: se una coppia avesse un rapporto sessuale e concepisse e l'uomo (per disgrazia) l'istante dopo morisse, la vita sarebbe in grado di proseguire il suo corso e il bambino nascerebbe ugualmente. Viceversa se l'istante dopo il concepimento fosse la donna a morire con essa morirebbe anche il figlio futuro. L'uomo ha il potere della scintilla iniziale, dell’“inseminare”, del dare il via al processo ma è nelle mani delle donne - anzi nel ventre delle donne, il calderone alchemico che genera nuovi esseri - il potere della vita.
Probabilmente è questo il motivo per cui le prime rappresentazioni di divinità ritrovate in tutta Europa sono intimamente legate al mondo femminile.

Le statuette erano dunque rappresentazioni divine della Dea Madre, Madre di tutta la Vita, e non oggetti erotici per i giochi maschili.
Meravigliosa nonostante l'età, ancora oggi la Venere di Laussel ci mostra come il calendario che scandiva la vita delle prime società fosse indubbiamente femminile.
Il bassorilievo in pietra scolpita risale al Paleolitico Superiore (30.000 - 20.000 a.C.) ed è ora conservato al Musée d'Aquitaine, Bordeaux, Francia.

Detta anche “Dea del corno”, ritrae una figura femminile che regge nella mano destra un corno con tredici tacche.
E' evidente il riferimento alla falce lunare e al potere connesso con l'astro. Le tredici tacche potrebbero benissimo corrispondere alle tredici lunazioni che si verificano all'interno di un anno solare, un tempo misurabile da un solstizio invernale ad un altro.
I primi calendari sono stati effettivamente lunari ed ancora oggi grandi culture come quella islamica e quella ebraica conservano tale tipo di computazione del tempo, per non parlare del calendario delle feste cattoliche che si basa principalmente sulla luna piena pasquale.
Sul corno della Venere di Laussel sono state individuate 13 tacche riferibili al calendario lunare e, poiché la luna ha un ciclo di 28 giorni circa, veniva automatico associare ad esso il ciclo femminile, anch’esso di 28 giorni.

La Venere di Laussel con la mano sinistra si tocca il ventre arrotondato segno di gravidanza (altro momento governato dall’astro lunare) forte simbolo di fertilità e rigenerazione della specie. La Venere è dipinta con ocra rossa, evidente rimando al sangue mestruale.

Sin dai primordi dunque, la luna era il riferimento dello scorrere ciclico dell’anno, ed era su di essa che si basavano (e si basano comunque ancora oggi anche se in modo non ufficiale) le semine, i raccolti, ma anche le gravidanze, la cova dei pulcini, le potature etc.
Infatti la luna è la Grande Signora, è una donna ed è lei che regge il crescere della vita e tutto quello che si genera o rigenera.
Inoltre la luna governa i liquidi: è stato oramai appurato anche scientificamente che essa influenza, oltre le maree, anche il mestruo ed il suo comparire. Ancora nel secolo scorso molte contadine usavano regolarsi guardando la fase lunare.
La Venere di Laussel rappresenta la sintesi culturale ed energetica del potere femminile e, da almeno 25.000 anni, ci ricorda qual è il segreto che è alla base della vita.

Il culto di una Grande Madre portatrice di fecondità sia nelle specie animali che in quelle vegetali, è stato tenuto in gran conto in tutto il nostro passato antico, quel passato di cui nulla si studia a scuola e che solo ora riemerge a fatica grazie al contributo di archeologi e studiosi che hanno smesso di leggere la storia solo con occhi maschili.

Pare che i primi manufatti così come le prime iscrizioni artistiche sulle pareti delle caverne non fossero legati solo alla caccia, come si è sempre pensato: le immagini di bastoncini e linee dipinte raffiguravano in effetti non armi ma vegetali; erano prevalentemente società di cacciatori-raccoglitori, dovevano quindi conoscere molto bene il regno vegetale e passarsi anche informazioni a riguardo.
La lettura convenzionale ha fatto in modo però che questi venissero letti come raffigurazioni di lance e armi. Scrive Riane Eisler: “i dipinti murali del Paleolitico venivano associati alla caccia, persino quando ritraevano donne danzanti (…) le prove di una forma di culto antropomorfico incentrato sulla donna – come i ritrovamenti di raffigurazioni femminili incinte e con fianchi larghi – venivano o ignorate, o classificate esclusivamente come oggetti sessuali maschili: «Veneri» erotiche obese o «barbare immagini di bellezza»” 1  .
In tutto il Paleolitico, ma anche nel Neolitico, erano le rappresentazioni femminili a prevalere: donne gravide, panciute, dai seni rigonfi, con vagine evidenti che non potevano ridursi ad oggetti di un culto sessuale maschile!
La Grande Madre regnava incontrastata perché era lei che garantiva la vita, il proseguimento della specie, la fertilità dei vegetali e la scansione dei cicli di generazione e trasformazione.


Ma la conclusione trabocchetto nella quale non si deve cadere (e che sia la Gimbutas sia la Eisler ci aiutano ad evitare) è che se il culto del femminile era prevalente, inevitabilmente il mondo maschile doveva essere sottomesso.
Questa logica dominante/dominato appartiene alla forma mentis del pensiero maschile: Riane Eisler ipotizza invece in contrapposizione alla “cultura della spada” (maschile/patriarcale), la “cultura del calice” dove il femminile/matrilineare (non matriarcale!) aveva sicuramente grande importanza ma dove vigevano pari opportunità di espressione all’interno di valori come l’accoglienza, la gentilezza, la grazia, l’estetica, l’armonia di forme e contenuti, la pace in contrapposizione alla guerra, il rispetto delle differenze e la cooperazione in contrapposizione alla competizione.
Una società in cui anche il femminile ha il suo spazio doveva essere sicuramente così, perché il mondo femminile è necessariamente mutuale: la donna ha bisogno di altre donne, degli uomini e della comunità per partorire, per allevare i figli, per proteggere la specie che genera. Non può vivere in un mondo competitivo. La Reisler chiama questo modello gilania (gylany), dove gy riconduce al greco gyné, donna e an ad andros, uomo. La lettera L che li unisce descrive il linking (l’unione) “delle due metà dell’umanità, contrapposto alla supremazia, come avviene nell’androcrazia, dell’una sull’altra. In greco deriva dal verbo lyein o lyo, che a sua volta ha un duplice significato: spiegare o risolvere (come in analisi), oppure sciogliere o liberare (come in catalisi). In questo senso la lettera l rappresenta la soluzione dei nostri problemi, mediante la liberazione delle due metà dell’umanità dalla avvilente e mistificante rigidità di ruoli imposta dalle gerarchie di dominio insite nei sistemi androcratici” 2 .

La Grande Madre con il suo culto, esteso in tutta Europa così come in Oriente e in altri continenti, era portatrice forti valori sociali. In queste comunità l’uomo non era sottomesso ma “i due principi (maschile e femminile) si manifestavano l’uno accanto all’altro. La divinità maschile, con l’aspetto di un giovane o di un animale maschio, sembra affermare e consolidare le forze della femmina attiva e creatrice. L’uno non è subordinato all’altra: completandosi reciprocamente il loro potere si raddoppia” 3 .

Dal 20.000 circa a.C. sino al 3.000 a.C. circa, intervallo storico di cui si sa poco e ancor meno viene divulgato, il culto della Grande Madre era prevalente. Probabilmente, pur non senza contraddizioni, la struttura sociale e culturale era profondamente diversa da quella attuale, senza dubbio però la donna in tutto questo aveva un ruolo centrale: sacerdotessa, madre, guaritrice.
Nella Creta preellenica il culto della dea era manifestato ovunque: le rappresentazioni rimandano sempre alla natura, alla bellezza, alla pace. Non vi sono immagini di guerre, di re, ma di sacerdotesse, di giovani, di giochi. La sessualità era piacere e gioco, la vita era considerata un godimento e, anche se vi erano classi sociali, la ricchezza era equamente distribuita. Non esisteva un esercito se non per tutelarsi durante i commerci con l’esterno.
La Dea era amata e rispettata ed il ruolo sacerdotale era femminile. In questo contesto l’arte, la scrittura e la tecnologia fiorivano. Creta ha vissuto 1500 anni di pace completa mentre tutto attorno ad essa le guerre di conquista da parte di popolazioni portatrici del culto della spada, del dio solare conquistatore, distruggevano senza pietà le antiche civiltà, deboli perché avevano centrato la loro esistenza sulla mutualità.
Questo sistema, come ipotizza la Gimbutas, venne distrutto completamente da invasioni di popolazioni nomadi scese dal nord, i Kurgan come lei stessa li chiamò, che annientarono le forme d’arte, violentarono le donne, uccisero gli uomini e con quello che restava costruirono i nuovi modelli sociali: il dio divenne maschile e la spada il segno del potere.
La cultura fu stravolta e fu l’inizio di questa nuova era nella quale la donna sarebbe diventata il lato debole (quando non il maligno impersonificato, la vanità e la superficialità) mentre nell’uomo risiederebbero la scienza, la conoscenza e il dominio.


L’ERA DELLA SPADA

Il culto della Dea proseguì come un fiume sotterraneo e silente: Artemide, Isthar, Iside, Selene, Ecate, Cibele e via dicendo... le dee, mogli o amanti di altrettanti dèi potenti e regnanti, tessevano comunque i destini dell’umanità.
Divinità che oggi appaiono controverse, tanto potenti e generose quanto distruttive e demoniache, vennero attaccate con violenza dalle religioni monoteistiche ed infine dalla Chiesa Cattolica che si è sforzata per secoli di estirparne il culto anche sostituendo con perfetto sincretismo i rituali definiti pagani con i suoi e sovrapponendo festività e simboli.
Ma la Vergine Maria - non riconosciuta come divinità dai cristiani - è purtuttavia amata e venerata in ogni modo. Ancora oggi nel culto cattolico, la maggior parte dei templi (chiese) sono dedicati a lei, ed è lei a manifestarsi attraverso le apparizioni e a compiere miracoli.

Il culto della Dea Madre è ufficialmente defunto ma con esso anche la cultura della vita: se nel tempo antico “la principale immagine religiosa era quella di una donna che partorisce e non, come ai nostri tempi, quella di un uomo che muore sulla croce, si può ragionevolmente dedurre che nella società e nell’arte prevalevano la vita e l’amore per la vita, anziché la morte e la paura della morte” 4 .

Finita l’era del culto della Grande Madre, la donna venne relegata ad un ruolo secondario: generatrice e nutrice di figli, il suo ruolo esclusivo doveva essere l’occuparsi della famiglia. Non aveva diritto all’istruzione, non ricopriva ruoli sociali rilevanti. L’arte sacerdotale le veniva negata così come quella medica, nonostante fossero due ruoli che precedentemente le erano propri.
L’anima le verrà concessa molti secoli più tardi.
Le streghe abbondarono in tutta Europa ed il genocidio si massa si compì grazie all’immanente cultura della spada, “un massacro quale non si era mai visto, che forse ha superato per ferocia qualunque altra impresa sanguinaria” 5 .
Ma sopravvivere è l’arte femminile: la donna attraversa, a differenza dell’uomo, dei riti d’iniziazione naturali che la obbligano a confrontarsi col mistero della vita/morte. I dolori del mestruo, il peso delle gravidanze per non parlare dell’intensità del parto. Eventi fisiologici che lasciano in lei una traccia, che le insegnano ad andare oltre, a rinunciare al proprio ventre, alla propria interiorità, per dar spazio all’altro.
La trasformazione è la caratteristica del femminile: dalla “lunaticità” della quale veniamo spesso accusate e che rimanda al nostro astro dominante, alla mutevolezza rappresentata dal serpente, che in antichità ha raffigurato la Grande Madre, la donna e il suo potere e poi è stato per secoli simbolo dei regnanti in Egitto, così come ora è l’effige dell’arte medica.
Il serpente cambia pelle, è dunque mutevole; vive nelle cavità della terra e le viscere della terra sono il mondo oscuro dove la vita parte e ritorna, così come è oscuro il ventre materno.
Fu un serpente, o un drago, a custodire la conoscenza antica e ad offrire ad Eva tale conoscenza.


L’ULTIMO RETAGGIO: LA CULTURA CONTADINA DEL ‘900

Le trasformazioni sono dunque l’arte del femminile. Le vive sulla sua pelle con le iniziazioni fisiologiche, ma le utilizza nella quotidianità perché le sue competenze domestiche sono tutte arti trasformatorie.
Joselyne Bonnet affronta con grande fascino tale argomento; in una ricerca, svolta in Francia negli anni ottanta del secolo scorso tra le contadine che avevano ancora nelle mani e nella mente gli antichi ruoli femminili, ella recupera le abilità e le radici millenarie dei gesti quotidiani.
La filatura era la prima iniziazione: in età puberale la fanciulla imparava a ricamare “le cifre” su un imparaticcio per poi cominciare il lungo lavoro del corredo. Le cifre (ovvero tutto l’elenco dell’alfabeto più la scala numerica) venivano ricamate con un filo rosso che rimanda al sangue mestruale, inoltre le allusioni all’ago e al filo erano il primo richiamo alle funzioni sessuali maschili e femminili.
Il bucato seguiva come competenza da acquisire ed, ovviamente, erano i pannolini del mestruo a dover essere ripuliti del sangue tabù: esisteva un lungo rituale che prevedeva un primo lavaggio a parte di tale biancheria e solo quando erano puliti potevano essere inseriti nel resto del bucato. Lunghi riti del bucato sono stati riscontrati anche in Piemonte in una ricerca da me effettuata negli anni novanta: l’acqua del primo lavaggio dei pannolini veniva buttata in luoghi ricchi e apportatori di fertilità come il letame o il concime vegetale; una donna non poteva lavare la biancheria durante il ciclo e le sue compagne dovevano cantare mentre facevano il bucato perché la biancheria diventasse bianca.

Fintanto che era nubile la ragazza aiutava in cucina ma non era un suo compito: solo col matrimonio lei acquistava il simbolo del potere femminile contadino, il mestolo. Avere il mestolo in mano è il segno che la donna è maturata, conosce la sessualità simboleggiata nell’arte culinaria dal fuoco, dai bollori e dalle trasformazioni alchemiche del cibo da materia prima a nutrimento.
Anche la preparazione del pane e degli altri composti lievitanti era prerogativa femminile; questo alimento contiene simbologie di ampia portata: è l’unione alchemica del lavoro maschile e di quello femminile, ha un processo di lavorazione che richiede il lento rigonfiarsi così come il ventre materno si espande durante la gravidanza. Non a caso il mobile destinato ad accogliere la madre, ovvero l’impasto con il lievito da usarsi per produrre il pane, era la madia, un cassettone fatto nella stessa forma delle culle in legno che accoglievano i neonati.
La donna era l’esperta del nutrimento, essendo in grado di produrre l’alimento per eccellenza: il latte.
I bambini venivano allattati più a lungo possibile, sia per garantire l’immunità alle malattie, sia perché era un risparmio economico notevole ed infine perché era anche strumento di controllo delle nascite, ritardando l'allattamento il ritorno della fertilità.
L’orto era un’altra relazione nutritiva: esso conteneva tutti gli alimenti base ma anche le erbe aromatiche con i loro indubbi poteri terapeutici. Cibo e medicina convivevano perché l’arte della trasformazione è anche arte di guarigione, l’antica arte femminile dell’uso magico delle erbe. L’arte dell’orto e del giardino erano prerogativa delle donne anziane, già detentrici di un sapere femminile maturato con l’esperienza, divenute custodi della fecondità.
La donna aveva la capacità di trasformare, di modificare le sostanze per renderle utili al proseguimento della specie e quest’arte le è naturale perché lei è la sola a produrre da sé sostanze, il sangue in primo luogo.
Neumann identifica i misteri di trasformazione femminile legati al sangue in questa sequenza: mestruo e gravidanza. Egli considera il terzo mistero di sangue la trasformazione di sangue in latte materno, “fondamento dei misteri primordiali della trasformazione del cibo”  6  e questo è ricollegabile all’arte culinaria che nel mondo contadino era competenza solo della donna sposata e quindi in grado di generare.
Alle trasformazioni del mondo esterno si aggiungevano le trasformazioni interne del ciclo vitale della famiglia: le donne presiedevano alle nascite, educavano ed allevavano i bambini nell’infanzia, si occupavano delle puberi e della loro entrata nel clan femminile, procuravano il corredo (a volte unica proprietà delle fanciulle) necessario a garantire la base economica di tutta una vita futura, educavano alla sessualità con allegorie e metafore, si prendevano cura dei familiari, delle malattie, delle convalescenze e della morte. Anche la cura delle tombe era in mano alle donne.

”DONNE” OGGI?



Questo lungo excursus tra abilità e competenze femminili è necessario per comprendere a quale profondità si situa quello che non è un incidente biologico: ovvero la natura femminile.
La sua fisiologia è strettamente collegata al suo ruolo sociale. Sta ai modelli di una cultura dare rilievo o sottovalutare tale aspetto.
Ogni donna è portata naturalmente, direi per istinto, ad occuparsi del benessere degli altri. Il fatto che nella società d’oggi sia stata espropriata delle sue abilità di base inevitabilmente produce malessere. Naturalmente non è pensabile restaurare i ritmi e le abitudini dei tempi andati, ma vale la pena di riflettere al ruolo riservato alla donna nella società odierna e a come sono viste e gestite alcune manifestazioni - una volta considerate sacre - del femminile.

Il mestruo, che una volta era visto come tabù ma rispettato (anzi la donna riusciva anche a ritagliarsi una fetta di privacy nella “casa delle donne”) divenne una “cosa sporca” che isolava ed infine, ora, è un evento da "nascondere e ignorare": il mercato offre prodotti di vario genere per continuare coi ritmi di sempre e senza che “si veda”. Il tabù non è scomparso.
La gravidanza ed il parto sono in mano a medici e non più al clan delle donne.

Il cibo viene prodotto industrialmente da più mani e spesso è gia pronto (cinque minuti nel microonde…); sono altri che ci consigliano - cambiando opinione molto spesso - ciò che è meglio mangiare e dare ai nostri figli.
L’allattamento è proseguito con difficoltà da una sola parte di donne che, rese insicure dal poco sostegno psicologico e dai ritmi che devono inevitabilmente mantenere, riescono a prolungarlo per pochi mesi.
Spesso è il cesareo a far venire al mondo nuovi esseri, a volte eseguito senza reale necessità e l’iniziazione femminile del parto svanisce.
Gli abiti non si rammendano più e le donne non sono più capaci di trasformare un filo di lana in un arazzo, una maglia o in calzini per l’inverno.
Le erbe si trovano in farmacia già lavorate e ci sono depliant che spiegano il loro uso, se un familiare si ammala si va dal medico, anche per un banale raffreddore.
La morte avviene negli ospedali ed una volta stabilito quale ditta si occuperà della salma i doveri del trapasso sono esauriti.

In questo quadro di deleghe non resta alla donna (ma anche all’uomo in quanto identità maschile) che il compito di lavorare all’esterno, per ditte che non appartengono al clan familiare e che ovviamente perseguono interessi propri in cambio di moneta.
Tale totale scissione dai ruoli primordiali femminili (il problema a questo livello è anche maschile) ha inevitabilmente esasperato alcuni disagi che si manifestano anche nelle sintomatologie delle quali le donne oggi soffrono: sindrome premestruale, depressione, cicli irregolari, cali della fertilità, parti cesarei, incapacità di allattamento, calo della libido, obesità, anoressia e bulimia fino ad arrivare ai tumori degli organi femminili.

La luna non è più una Dea, Dio non è più una donna e la donna non sa più essere donna.
Occorrono grandi sforzi di consapevolezza per tornare a prendere coscienza della propria femminilità e della sua fisiologia lunare.

 

 

 

© 2007 Testo di Micaela Balice, www.strie.it

Qualsiasi riproduzione, senza esplicito consenso dell'autrice, è vietata.

Pubblicato su www.ilcalderonemagico.it il 21 maggio 2007

L'AUTRICE

Micaela Balice, dottoressa in pedagogia, naturopata, specializzata in Fiori di Bach ed Erboristeria Popolare.
Libera ricercatrice su miti e simboli dell'antichità con particolare attenzione per gli archetipi del femminile, il culto della Grande
Dea e di Madre Terra.

Scrive Poesie.
Coltiva la Terra.

micaela@strie.it
www.strie.it

 


NOTE

1   R. EISLER, Il calice e la spada – la nascita del predominio maschile, Nuova Pratiche Editrice, Parma, 1996, pag.38
2   R. EISLER, op. cit., pag.193
3   MARJIA GIMBUTAS in R. EISLER, Op. cit., pag 71
4   R. EISLER, Op. cit. , pag. 63
5   R. SICUTERI, Lilith, la luna nera, Astrolabio, Roma, 1980, p. 114
6   E. NEUMANN, La Grande Madre, Astrolabio, Roma, 1981, pag. 41


IMMAGINI

Venere di Laussel


"Trittico di Laussel", immagine rielaborata al computer; le due Veneri laterali sono tratte da "Prima di Eva: Viaggio alle origini dell’eros" di Luisella Veroli (Melusine 2000),


Kurgan sword and a 3-D motion rendering by Barry Howe tratta da http://filmswords.com/highlander/memoirs.htm

Giovanni Fattori, Contadina nel bosco, tratto da http://www.italica.rai.it/index.php?categoria=arte&scheda=macchiaioli2_1


Bibliografia


M. BALICE, Simbologia lunare e tradizione popolare, in “L’Ombra – tracce e percorsi a partire da Jung”, V, 7/8, 1999
M. BALICE, Il calendario rituale contadino: il ciclo della vita nel Casalese (Tesi di laurea, A. A. 1993/1994, Corso di Laurea in Pedagogia, Università degli Studi di Torino) – visionabile c/o Biblioteca Municipale Casale Monferrato - Al
M. BILIMOFF, Enquête sul les plentes magiques, Editions Ouest-France, 2003
J. BONNET, La terra delle donne e le sue magie, Red Edizioni, Como, 1991
R. EISLER, Il calice e la spada, Pratiche Editrice, Parma, 1996
J. G. FRAZER, Il Ramo d’oro, Grandi Tascabili Economici Newton, 1992
M. GIMBUTAS, The Language of the Goddess, Thames & Hudson, 1989
M. GRAY, Luna rossa, Macro Edizioni, 2000
P. GRIMALDI, Il Calendario rituale contadino, Franco Angeli, Milano, 1993
E. NEUMANN, La Grande Madre, Astrolabio, Roma, 1981
V. NOBLE, Il risveglio della dea, Corbaccio, Milano, 1996
J. PAUNGGER, T. POPPE, Servirsi della luna, Tea Pratica, Milano, 1994
R. SICUTERI, Lilith, la luna nera, Astrolabio, Roma, 1980
M. STONE, When God was a woman, Harvest/Harcourt Brace edition, 1976
http://www.tmcrew.org/femm/storiadelledonne
http://www.grandemadre.net
















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